C’ ERA UNA VOLTA… GLI ANTICHI MESTIERI DEL SALENTO 1
La gente semplice del Salento ama conservare e tramandare le tradizioni locali, quelle che da sempre rendono magica e speciale questa terra. Molte di queste tradizioni si sono conservate quasi intatte mentre altre, inevitabilmente, sono cadute in disuso ma non del tutto scomparse. Fortunatamente, c’è la memoria che fa il suo bel dovere!
Di seguito, vi proponiamo una piccola descrizione di arti e mestieri antichi del Salento, con l’auspicio di solleticare la vostra curiosità e venirci a trovare al Residence Vaìa di Torre dell’Orso per saperne di più.
Il primo mestiere (nonché vera e propria arte) che vi raccontiamo è quello dello “Scarparu”, ossia il calzolaio. Un tempo, possedere un paio di scarpe significava usufruire di un bene importante e costoso. Pochi ne possedevano più di uno e in tal caso un paio era destinato all’uso quotidiano, l’altro veniva utilizzato solo per le occasioni importanti. Le scarpe dovevano durare a lungo, per anni o meglio per decenni. La richiesta era comunque tanta e il Salento era pieno di botteghe nelle quali poter acquistare prodotti di ottima qualità. E sì, perché il calzolaio non si dedicava soltanto alla riparazione delle scarpe ma le creava a regola d’arte, un’arte quasi completamente scomparsa perché oramai sono rarissime le botteghe in cui il calzolaio fa le scarpe, ben che vada le ripara soltanto.
Poi vi era “ lu Stagnìnu”. Il nome deriva dal materiale utilizzato per saldare le sue creazioni e riparazioni, lo stagno. Si occupava principalmente di costruire grondaie per il recupero delle acque piovane che andavano a finire nelle cisterne, facilitando così la raccolta dell’acqua che al tempo scarseggiava. Ma grazie alla moltitudine di oggetti ai quali si dedicava, riusciva a soddisfare i bisogni di un’intera famiglia. Infatti, oltre alla realizzazione di grondaie, riparava pentole, tegami, secchi… e tutti quegli utensili che si usuravano di frequente perché utilizzati quotidianamente. La bravura di questi maestri era riconosciuta da tutti. Erano loro che producevano “le menze”per prendere l’acqua dalla fontana, “li sicchi” (secchi), “la ndacquarola” per annaffiare le piante..e tutti gli utensili che servivano per cucinare, per lavare i panni, per irrigare i campi e per riscaldarsi durante l’inverno. Spesso questi oggetti venivano abbelliti e decorati con manici in ottone e decorazioni a sbalzo. Oggi questi oggetti, avendo perduto la loro funzione, sono utilizzati come arredo e ornamento nelle case dei Salentini. Altri ancora possono essere ammirati nei centri culturali e nei musei presenti sul territorio.
Allo stagnino segue “lu Conzalimbi” che non trattava oggetti in stagno ma era pur sempre un gran maestro nel riparare i vasi in terracotta. I suoi attrezzi erano: trapano in legno, filo di ferro non molto grosso e stucco in polvere. Il tutto era contenuto in una scatola di legno con la quale attraversava il paese gridando a voce alta: “conzalimbi, cozzalimbi!” Per le sue meticolose riparazioni, sedeva sulla sua cassetta di legno, esaminava attentamente il pezzo, faceva dei piccoli buchi lungo la frattura e poi passava tra questi il filo di ferro. Lo intrecciava e lo stringeva e poi dava una mano di stucco lungo la frattura e sul filo di ferro.
E se c’era chi riparava i vasi in terracotta, c’era anche chi li faceva: il vasaio. L’arte dei noti vasai salentini, fortunatamente, non è ancora scomparsa. La si può vedere e toccare con mano soprattutto nella zona di Cutrofiano (Le), paese situato nell’entroterra del Salento.
Mestiere e vera arte era anche quella del Signor costruttore di aràtri in legno, il Carradore. L’aratro, è considerato dagli archeologi una sorta di evoluzione del piccone e della vanga che, utilizzando la forza animale, permette la lavorazione di una più ampia superficie di terreno, era conosciuto fin dai tempi preistorici. Gli aratri più antichi erano completamente in legno, lavorato a mano (ovviamente) dal carradore che con pialle, asce, seghe e scalpelli modellava il legname e costruiva l’aratro, oppure riparava i raggi delle grandi ruote del ‘traìno’ (carro per i lavori) o dello ‘ sciarabà’ (calesse da passeggio ). Il lavoro paziente del maestro carradore era poi accompagnato da“lu trainieri” che munito di cavallo,o mulo, e traino trasportava su richiesta qualsiasi tipo di materiale e “lu Ferracavalli” o maniscalco che con molta cautela faceva e applicava gli zoccoli ai cavalli.
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